Martedì 9 novembre 2021 – C’è chi la passione per il calcio e, in particolare per la squadra del Potenza l’ha avuta sempre nel cuore. Una passione tramandata ai figli.
Ci riferiamo al compianto collega Franco Corrado che nel maggio del 2005 scrisse questo articolo, pubblicato in uno dei suoi libri da Pino Gentile.
Il figlio di Corrado, Lorenzo, “malato” più del caro Franco di…. potentinite, ha avuto la bontà di pubblicarlo sulla sua pagina Facebook.
Con piacere lo proponiamo. Per rivivere ricordi mai sopiti.
“I miei figli, che hanno imparato ad amare “il gioco più bello del mondo” seguendomi al “Viviani” fin da quando, bimbetti, cominciavano a muovere i primi passi, man mano che con la loro passione sportiva andava crescendo anche lo scoramento per la deprimente sfilza di insuccessi collezionata negli ultimi anni dalla squadra del cuore, mi hanno chiesto a più riprese, quasi a mò di rivalsa consolatoria, di parlargli di quello “squadrone” che sfiorò il traguardo della massima serie e che costituisce ancora oggi, a distanza di tanti lustri da quelli del “mito”, il rifugio alto da delusioni cicliche.
Ecco, allora, in sintesi, la narrazione che (e mi auguro che sia di qualche interesse rispetto al risaputo) ho proposto loro e che, oggi, spero possa trovare un più generale interesse.
Come raccontare momenti significativi di una favola bella restando lontani dalla banalità.
Come proporre, rifuggendo dall’ ovvio, particolarità di una storia esaltante per chi l’ ha vissuta in prima persona, ma anche per quanti ne sono rimasti direttamente o in via indiretta coinvolti.
Come rievocare, senza cadute in una facile retorica, fasi cruciali di una felice vicenda sportiva intensamente vissuta da una città e da un’ intera regione balzate prepotentemente alla ribalta della notorietà, ed anche dell’ ammirazione di un vasto pubblico, per le sorprendenti performances di una squadra di calcio.
Dare le giuste risposte a questa serie di “come” non è certamente facile. Provo, comunque, a farlo attingendo a ricordi ben vivi, a dispetto del tempo che passa, legati all’ esercizio di una professione che, al pari di quella di altri giornalisti della “vecchia guardia”, trovò modo di arricchirsi e di maturare anche in virtù delle gesta di quell’ amatissimo Potenza degli anni Sessanta: gli irripetibili e favolosi anni della Serie B, preceduti e preparati, vien voglia di dire, da altri altrettanto importanti in cui vennero gettate le basi del “miracolo” che doveva venire ed esaltare quanti ebbero la ventura di viverlo.
Mi sia concesso, allora, di far partire questa mia testimonianza dal quinquennio che precedette quello delle grandi imprese.
All’ epoca ero collaboratore del “Corriere dello Sport”, chiamatovi fin dal 1957 da Lino Viggiani, titolare dell’ ufficio di corrispondenza potentino.
A rimarcare l’ attenzione delle cronache erano, allora, vicende che, pur se immancabilmente influenzate dalla precarietà delle risorse finanziarie in cui nascevano le squadre targate Potenza, avevano imboccato i binari di risultati finalmente soddisfacenti.
Ad aprire quella stagione di positività era stato l’ avvento alla guida della società dell’ avvocato Francesco Petrullo.
Sotto la sua presidenza, con il concorso determinante di altri dirigenti “illuminati” quali Nino Ferri ed Egidio Sarli, incominciò la progressiva scalata a traguardi sempre più importanti: prima la C, con l’ affermazione – alla distanza – su una quadrata tignosa Casertana (indimenticabile, quanto determinante, quella vittoria ottenuta proprio in Terra di Lavoro, con un calcio di rigore freddamente trasformato da Ferrulli in un clima infuocato del quale fui fra i testimoni diretti) e, successivamente, a distanza di due anni, la Serie B, conquistata con l’ avvento sulla panchina rossoblù di Egizio Rubino e l’ apporto determinante di giocatori di grande rendimento, da Masiero a Vaini, da Quaiattini a De Grassi, da Mascìa a Lodi e Rosito.
Del campionato che schiuse al Potenza le porte di un traguardo mai raggiunto prima va ricordata un’ altra gara sicuramente decisiva per l’ affermazione finale: quella vittoriosa del 28 aprile del ’63 a Salerno, svoltasi in un clima di autentica guerriglia, contraddistinta da gravi incidenti e con il pesante bilancio della perdita di una vita umana per un colpo di pistola irresponsabilmente esploso dagli spalti.
In tribuna stampa al “ Vestuti” ero con Lino Viggiani e, per entrambi, quell’ esperienza drammatica fu oggetto di una delle prove più difficili del nostro impegno di giovani cronisti. Assolvemmo a quel compito da Battipaglia, che avevamo precipitosamente raggiunto mentre infuriavano ancora gli incidenti nel vecchio stadio salernitano, per rispondere ad uno di quei collegamenti telefonici, a mò di “calcio minuto per minuto”, orchestrati da Tonino Dapoto e che vedevano a turno impiegati alcuni giornalisti sportivi dell’ epoca a riferire ai tifosi radunati in Piazza della Prefettura sulle partite in trasferta della squadra rossoblù.
I Beatles cantavano “Love Me Do” e “Please Please Me” (erano i loro primi grandi successi di dominatori della Pop Musica) quando – sulla scena del calcio nazionale, senza mai far da comparsa, se non nell’ ultima disgraziata stagione di permanenza nella Cadetteria (1967-68) – comparve il Potenza di Nino Ferri e di Egizio Rubino che, per il primo anno di Serie B, si era concesso l’ unico lusso di ingaggiare dall’ Inter un mediano di spinta di assoluto valore quale Dellagiovanna e riavviare anche con la Juventus, dalla quale erano giunti Casati e Carrera, quei fecondi rapporti di collaborazione alla base delle fortune future.
Doppia trasferta al Nord per il debutto: la prima ad Alessandria e la seconda a Monza, dove si materializzò la presenza di tanti lucani giunti dai centri di residenza del Piemonte, della Lombardia e di altre regioni settentrionali.
A quella sorta di rimpatriata ero presente anch’io, unico fra i cronisti potentini chiamati registrare un evento di assoluto rilievo per una società che – dopo il preludio di Coppa Italia al “Viviani”, con una sconfitta scontata quanto onorevole per 2-0 contro la Roma di De Sisti e Sormani, di Manfredini e Angelillo – si affacciava per la prima volta alla ribalta del calcio nazionale.
Ad Alessandria, incoraggiante divisione della posta per i rossoblù, padroni del campo per gran parte dei novanta minuti e vicini al gol più volte. Uno zero a zero, alla fine, che lasciò qualche rimpianto per una vittoria fallita per un niente.
Ma quel parziale exploit, pur se seguito, da una sconfitta di misura nella successiva trasferta di Monza (1-0 per i padroni di casa, con un rigore loro concesso a 10 minuti dalla fine) risultò un buon viatico sia per la disputa di un primo onorevole campionato di B, contraddistinto da una splendida vittoria al “San Paolo” di Napoli alle 24 giornata e dai 38 punti nella classifica finale, sia per le eccellenti prestazioni delle annate successive.
La più esaltante delle quali fu la seconda: quella delle serie A mancata per un soffio con l’ “attacco-raffica” dei Boninsegna e dei Bercellino II, dei Carrera e dei Canuti e dei Rosito.
A quella magnifica stagione sono legati i ricordi più belli degli appassionati di calcio potentini più avanti con gli anni ed anche di chi, come me e con pochi altri giornalisti che hanno avuto la ventura di vivere e raccontare gli eventi che ne fecero storia, è chiamato ancora a riferirne.
D’ora in poi, quindi, con citazione di fatti emblematicamente significativi, i riferimenti della mia memoria andranno solo a due annate: la ’64-65, che il Potenza “dell’ orgoglio lucano” concluse al quinto posto con 44 punti (solo tre meno della Spal, terza promossa in serie A insieme a Brescia e Napoli, e con i ferraresi dai rossoblù sia all’ andata che al ritorno), e la ’67-68, destinata a segnare – con la retrocessione in C – “l’ inizio della fine” dei tormentati, e per tanti versi mortificanti decenni successivi.
Due domeniche indimenticabili: una alla diciannovesima giornata, in chiusura di girone d’andata; l’ altra, per la prima di ritorno. Duplice trasferta al Nord per i potentini e duplice strepitosa affermazione grazie alle prodezze di un attacco che sapeva essere irresistibile e trasformarsi in un autentica macchina da gol ogni qualvolta s’imponeva l’esigenza di ingranare la quarta per rimediare magari a precedenti distrazioni o a un certo ricorrente lassismo della squadra, causa non ultima questa delle non poche reti che si subivano (ne risulteranno quaranta a fine stagione).
Primo impegno a Ferrara contro la Spal del mitico factotum Mazza. Il Potenza appare all’ inizio piuttosto svogliato, quasi indolente e finisce col rimediare, come logica punizione, due gol al passivo.
Gara compromessa? Sembrerebbe di si se, a fronteggiare un complesso in corsa per la massima serie come quello estense, non ci fosse un undici in grado di trasformarsi all’ improvviso sul piano del gioco e dell’ efficacia realizzativa, dando vita a manovre altamente spettacolari e, al tempo stesso, produttive al massimo.
Il che avviene regolarmente, con la Spal costretta a subire una controffensiva micidiale: un lungo forcing che, nell’ arco di tempo compreso fra il trentesimo della prima frazione di gara e il trentunesimo della ripresa, porta prima Bercellino II a dimezzare lo svantaggio e, successivamente Boninsegna a pareggiare il conto e a ribaltare alla fine il risultato a favore della sua squadra.
Dal 3 a 2 di Ferrara al 3 a 0 della domenica successiva a Verona, dove il Potenza rovina agli scaligeri la festa per l’ inaugurazione dello stadio “Bentegodi” con un gol di Rosito e la doppietta messa a segno da Bercellino II, degno emulo e fromboliere ancora più irresistibile del futuro “Bonimba”.
Quelle due altisonanti vittorie lontano dalle mura amiche fanno gridare al “Potenza miracolo” ed accreditano la squadra lucana come una delle più belle realtà del calcio nazionale . C’è area di serie A in quelle affermazioni.
E di serie A si prende insistentemente a parlare in casa rossoblù, “fra sussurri e grida “, fra scaramantiche professioni di modestia e orgogliosa consapevolezza di forza.
Quella forza che forse volontariamente non si volle sfruttare fino in fondo, nel timore di fare il passo più lungo della gamba con una società sempre alle prese con pesanti carenze di bilancio e che, anche per il ristretto bacino potentino di utenza calcistica, non offriva garanzie nemmeno per una buona squadra di quarta serie.
Di questo, d’altra parte, mi capitava di parlare con Nino Ferri, di cui godevo amicizia e stima, oltre che con il suo fratello maggiore Gigino, che agiva all’ ombra del germano assicurandogli il contributo prezioso, anche critico, del suo “saper di calcio”, della sua grande capacità di lettura delle singole partite ma anche di tutte le altre situazioni in cui nascevano le squadre e che, nel bene e nel male, ne caratterizzavano il cammino.
E proprio a questa competenza di Gigino Ferri, in discreta quanto affettuosa concorrenza con quella del fratello Nino, mi è capitato di tornare con la mente le volte che, svanito il sogno della serie A per via dell’ incostanza di rendimento che fece seguito al boom potentino di Ferrara e Verona, ho cercato di comprendere meglio, in maniera direi più razionale, le ragioni del mancato raggiungimento di un traguardo che avrebbe fatto sicuramente epoca.
Dalla stagione ’64-65 alla ’67-68, quella dell’ addio alla B; dalla mancata promozione in serie A alla retrocessione in C.
A quest’ ultima esperienza è legato il racconto di una nottata trascorsa fra la piccola pensione-ristorante “Lucia”, in Vico Branca, ed una riunione dopo cena a Casa Ferri, in Via IV Novembre.
Alla guida tecnica del Potenza, dopo una serie di rovesci ed il conseguente esonero di Alfredo Mancinelli, è approdato Antonio Pin, ex portiere del Padova di Nereo Rocco.
Si tenta di far quadrato attorno a lui; di sorreggere la sua gran voglia di fare l’ allenatore esordiente in un campionato importante, che non ha paura di misurarsi con le tante difficoltà create dagli evidenti limiti della squadra affidatagli nel tentativo estremo di salvare il salvabile. A tenere banco in quell’ incontro di dirigenti, tecnici e giornalisti è la speranza. Ci si affida all’ “ultima dea” perché non si spezzi l’ esile filo che tiene ancora legato il Potenza al prestigioso carro della Cadetteria.Tanti progetti, allora. Tante ipotesi sui punti che è ancora possibile raggranellare. Una serie di calcoli ottimistici, destinati ad essere mandati all’ aria da cinque sconfitte consecutive, favoriti dall’ euforia creata dal wisky che senza parsimonia i fratelli Ferri mettono a disposizione di quanti ne hanno invaso il salotto buono finendovi con il “fare l’ alba”. E se all’ alba che i sogni muoiono, è a quella di un giorno nascente del ’68 che si riallacciano i miei ricordi, solo nel finale amari, di testimone spero non del tutto marginale di una memorabile avventura sportiva.
FRANCO CORRADO – Maggio 2005
Foto di copertina: formazione del Potenza anni 60