Lunedì 11 aprile 2022 – Inaugurata il 4 aprile scorso, rimarrà aperta fino al prossimo 18 aprile la mostra di opere di Vincenzo Lamensa, originario di Chiaromonte, a Roma nella Galleria Dantebus Margutta, in via Margutta 38.
Una mostra di opere che sta riscuotendo già successo di pubblico e di critica.
Lamensa – come ci confida per telefono – ha avuto sin da bambino la passione per la pittura. Finite le scuole medie a Chiaromonte, ha frequentato l’Istituto d’Arte a Potenza.
Poi è iniziato il suo cammino di artista che con risultati importanti, tra i quali quello ottenuto lo scorso anno entrando tra i selezionali al concorso internazionale di Lussemburgo.
La sua arte – afferma Lamensa – s’ispira al rapporto tra l’uomo e la natura, un rapporto non certo positivo, considerando i problemi ambientali che viviamo da tempo.
Sull’arte di Vincenzo Lamensa ecco quanto afferma Massimo Gherardini – Capo Redattore Dantebus Edizioni.
“L’intenso autore Vincenzo Lamensa riesce nell’impresa – nel solco di una tradizione artistica che ha visto realizzati ogni genere di stile e di scuola – di generare una pittura originale. Accade, infatti, che Vincenzo scovi nella possibilità della metafora visiva il fulcro di un’arte fortemente espressionista.
Per capire in pieno la pittura di Vincenzo bisogna sottolineare una differenza fondamentale per la semiotica visiva, ovvero quella fra linguaggio figurativo e linguaggio plastico. Le immagini, infatti, possono essere analizzate in due diversi modi. Da una parte il figurativo, dove si comprende come determinate configurazioni di linee e colori possano essere riconosciute come segni di oggetti del mondo reale.
Dall’altra, il plastico, dove linee e colori verranno studiate per quello che significano “di per sé”. Questo equivale, in primis, ad avere un significante, stilisticamente perfetto sia in acrilico che in acrilico e china, tramite il quale Vincenzo stupisce il lettore-osservatore carpendone l’attenzione, destandone e coinvolgendone i sensi, non solo quelli visivi. In secundis, equivale ad avere un significato, al quale si può accedere tramite un’elaborazione ed una partecipazione mentale che vada oltre le apparenze.
Figurativo e plastico, significante e significato, non sono però assolutamente slegati, poiché Vincenzo trova ed inserisce sempre un elemento che faccia da trait d’union e in qualche modo indirizzi il lettore-osservatore verso la giusta interpretazione ed ermeneutica. Questa chiave di apertura per la lettura del significato è spesso fornita già dal titolo dell’opera, in un ulteriore armonioso gioco di contrasti tra logos-parola ed eikona-immagine.
Entrando in medias res, allora, già nell’apertura della raccolta Apollo e Dafne nel 2022, il titolo mette in commistione il noto mito classico ed il tempo contemporaneo, tra passato e presente; mentre nell’opera è il telefonino che cade dalle mani di Apollo l’elemento per l’apertura mentale, quasi a significare che nella società attuale per raggiungere l’amore – prima che esso si trasformi in qualcosa di intangibile – bisogna spogliarsi del superfluo. Molto interessante, a riguardo, è l’opera successiva intitolata Sipario, nella quale il sistema generale è piuttosto complesso e profondo, in una architettura artistica e scenografica che riguarda evidentemente tanto l’intra che l’extra. All’uomo seduto, infatti, intento a contemplare l’orizzonte viene spalancato un sipario più ampio, dove si staglia, oltre le montagne ed il paesaggio, l’infinito di universi e pianeti, mentre egli – senza volto – ha in mano una maschera.
In bilico fra terra e cielo, come la ballerina sulle punte nell’omonima opera, l’arte di Vicenzo dà la possibilità di scegliere chi siamo veramente, tra finito ed infinito, tra l’ora ed il per sempre, tra il qui e l’ovunque.