Forma, colore, libertà, amore.
Dovessi utilizzare poche parole per raccontare Donato Pace, non esiterei a usare queste. Non è lo striminzito riassunto di una vita intera dedicata alla pittura. E’, invece, la consapevolezza, acquisita durante l’incontro, che la storia di ogni uomo è percorsa costantemente da alcune direttrici che significano, giorno dopo giorno, la nostra esistenza.
73 anni vissuti intensamente con un unico grande amore, la moglie Filomena.
73 anni vissuti con un ‘unica grande libertà, la pittura.
73 anni in cui il colore e la forma sono stati gli strumenti per raggiungere il suo fine.
Artista con la A maiuscola, poliedrico nell’uso dei colori, dei materiali, delle forme e attento sempre ai temi sociali.
Tutti gli occhi hanno diritto di osservare l’arte, a prescindere dalle condizioni sociali, culturali, economiche, di sesso, di razza.”
E’ come se avesse reso l’articolo 3 della costituzione italiana parte integrante della sua passione.
Ha iniziato a dipingere da bambino scoprendo giorno dopo giorno le sue enormi potenzialità.
Un impeto di creatività che da solo emergeva dalle sue mani.
Nessuna spiegazione è possibile. E’ come un secchio d’acqua rovesciato in terra, prende il suo corso e basta. Inutile cercare ragioni o motivi a qualcosa che accade.
E Donato Pace è il maestro dell’accadere. L’arte va, fluisce, da sola e cerca la sua strada tra il giorno e la notte, tra un’emozione e un dolore, tra
E la sua strada la trova naturalmente sulle tele nelle quali Donato imprime le forme del mondo che lo circonda con un’attenzione particolare a quello spicchio di mondo da sempre è subalterno al potere, quello spicchio di mondo che trasuda dignità e povertà allo stesso tempo, quello spicchio di mondo genuino, vivo, marginale. Quello spicchio di mondo che da sempre appartiene ai vinti.
Chiunque ha osservato un suo quadro ne è rimasto colpito. Una pittura che non lascia indifferenti. Che segna per sempre perche ricca di passione, significato, umanità. E bella all’inverosimile.
Non è un caso che il suo talento fuori dal comune, dopo i primi apprezzamenti prima da Avigliano e poi nel capoluogo, abbiano trovato spazio ne nella capitale e nell’intero mezzogiorno d’Italia.
Oggi, dopo una lunga pausa di 6 anni senza dipingere, Donato è tornato da dove aveva iniziato.
Niente più spatola e niente acrilici. Cartone e colori a cera.
I risultai non cambiano e nemmeno le emozioni raccolte dallo sguardo.
Al centro rimane l’uomo come simbolo di strumento senza coscienza. Utile solo come mezzo per raggiungere la libertà che per Donato è soprattutto amore.
Amore verso tutto ciò che altro e che vive in una dimensione spesso nascosta agli sguardi frettolosi della gente, ormai abituata a trattare ogni cosa con indifferenza.
I suoi ricordi più belli, durante gli anni 70 e 80 sono legati alle mostre fatte nei luoghi più lontani e disparati. In un casale di campagna o in piccoli paesini. Nei luoghi in cui uomini, donne e bambini difficlemente avevano il piacere della pittura. E’ in quei luoghi che bisogna andare. E’ a loro che bisogna parlare. Tutti hanno diritto di godersi l’arte. Nessuno escluso.
Migliaia di tele, sparse nell’Italia intera, raccontano questo straordinario percorso umano.