Venerdì 7 aprile – Il cammino verso la Pasqua è segnato da storie di chi vive, ognuno nella propria realtà, esperienze, problemi, speranze.
Tutto questo è stato raccontato dai partecipanti alla Via Crucis che si è svolta nei giorni scorsi nel centro storico di Potenza, organizzata dalla Consulta delle aggregazioni laicali della diocesi
Le riproponiamo sperando che possano offrire a chi vorrà leggerle spunti di riflessione per prepararsi al meglio alla Ressurezione di Cristo.
PRIMA STAZIONE – GESU’ E’ CONDANNATO A MORTE
Riflessione di un lavoratore in carcere
Noi che oggi siamo “reclusi”, privati della libertà, pensiamo al sentimento di solitudine che Lui e che noi abbiamo provato al momento della nostra condanna, pur ricevuta «giustamente», e sentiamo forte la vicinanza di Gesù nell’espiazione.
Signore, se ho sbagliato che io sia condannato! Ma perché l’innocente?
Se ho sbagliato, che io sia condannato, Signore, ma perché umiliato?
Perché deriso? Perché disprezzato?
Perché trattato con indifferenza, come un fascicolo, come un articolo del codice.
Abbi pietà di noi Signore, anche di chi ci condanna.
SECONDA STAZIONE – GESU’ E’ CARICATO DELLA CROCE
Riflessione di un educatore
Gesù è caricato della croce e con essa comincia il grande ritorno alla casa del Padre. Gesù porta sulle spalle il peso della vita, delle fatiche, delle sofferenze umane; se ne fa carico, non si sottrae alla responsabilità della croce, si avvia verso il Golgota perché il mistero della salvezza sia rivelato ad ogni uomo.
Quante volte portiamo sulle nostre spalle un peso che ci sembra troppo grande; quante volte, anche all’interno delle associazioni nelle quali prestiamo il nostro servizio, ci sentiamo affaticati dalla responsabilità; quante volte vorremmo liberarci della croce per sentirci più leggeri; quante volte, non riuscendo a scorgere la meta che ci attende, vorremmo interrompere il nostro cammino.
In questi momenti non dimentichiamo l’insegnamento di Gesù: bisogna accogliere la croce, come ha fatto Lui, bisogna, con docilità, prendersi cura di tutto ciò che la vita ci offre, bisogna affidarsi al Signore e credere che, dietro ogni croce, anche la più pesante, la più dolorosa, la più ruvida, si nasconde una promessa di liberazione e di salvezza, bisogna fare esperienza del sacrificio, ossia imparare a rendere sacra la responsabilità che viviamo.
Ecco la vera grazia: saper scorgere nel dolore, nella fatica, la luce della resurrezione. Solo così la croce non sarà più simbolo di umiliazione, ma ci ricorderà la promessa che Dio ha fatto ad ogni uomo.
Abbracciamo la croce, lasciamoci abbracciare dall’amore del Signore.
TERZA STAZIONE – GESU’ CADE PER LA PRIMA VOLTA
Riflessione di un seminarista
La prima caduta di Gesù ci fa pensare alle nostre cadute. Fin da piccoli cadiamo e abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, che ci aiuti a rialzarci, attraverso piccoli passi. Questi passi rappresentano il cammino di ognuno di noi verso la medicina dell’anima, Cristo Gesù. Tutto ciò può avvenire solo attraverso incontri d’amore, affinché il cammino verso Cristo sia fondato sulla cura e l’amore.
QUARTA STAZIONE – GESU’ INCONTRA SUA MADRE
Riflessione di una madre
Quante “mamme” conosco e riconosco dentro di me: una e infinite. Mi sembra di averne incontrato una per ogni figlio nato e non nato, anzi di più. La stessa mamma, in realtà, non è mai la stessa neanche con lo stesso figlio. C’è una mamma diversa dentro di noi per ogni circostanza di vita.
Nel mondo che vivo io, oggi, tanti sono i “modi” di esser mamma: c’è la mamma lavoratrice, la mamma chioccia, la mamma single, la mamma assente, la mamma moderna, la mamma vecchio stampo, la mamma stanca, la mamma super, la mamma adottiva.
E poi ci sei Tu. Tu sei la Mamma, meglio, tutte le mamme, senza alcun aggettivo. Io vorrei solo poter essere una mamma-Te. E sento che sei con me ogni volta che non so come fare, ogni volta che non so “cosa essere” con i miei figli.
Per cui Ti ringrazio, Maria, per quella volta che hai deciso di partire con tuo marito al nono mese di gravidanza, ben sapendo quale grande rischio avrebbe potuto correre il tuo bambino, ma tutto è andato bene. Posso gioire anche io, con Te. Ti ringrazio, Maria, per quella volta che hai dovuto prendere il tuo bambino e fuggire in terra straniera, sottoponendovi a un grande pericolo. Posso essere profuga anche io, con Te.
Ti ringrazio, Maria, per quella volta che hai perso tuo figlio a Gerusalemme e sei corsa a cercarlo nella carovana…e lì non c’era, nella città…e anche lì non lo trovavi. Grazie, Maria, per come lo hai rimproverato, una volta ritrovato, mostrandomi tutta la tua preoccupazione di mamma. Posso preoccuparmi anche io, con Te.
Ti ringrazio, Maria, per quella volta che hai accettato che ti mettesse a tacere durante le nozze di Cana. Posso accettarlo anche io, con Te.
Ti ringrazio, Maria, per quella volta che lo hai visto andar via e ti ha detto che sua madre e i suoi fratelli erano altri da voi e tu hai accolto il grande mistero che non fosse tuo, che non fosse “per te”. Posso lascialo andare anche io, con Te.
Ti ringrazio, Maria, per quella volta che lo hanno arrestato, condannato, maltrattato, picchiato, umiliato, ucciso. Tutto davanti ai tuoi occhi. Posso sopportarlo anche io, con Te.
Ti ringrazio, Maria, per quella volta che sei stata lì, con lui che saliva sul Calvario; per come sei testimone dell’Amore che non si sostituisce all’altro, ma accompagna la Vita al suo compimento. Posso accompagnare anche io, con Te.
Ti ringrazio, Maria, per quella volta che, dopo la sua morte, hai tenuto stretta a te i suoi amici e hai costruito con loro la Sua Chiesa. Posso trasformare ogni mio dolore anche io, con Te.
QUINTA STAZIONE – GESU’ E’ AIUTATO DA UN CIRENEO
Riflessioni di un giovanissimo
I veri amici sono autentici “compagni di strada”: non persone che alleviano il peso della vita convincendoci a fermarci e a dimenticarci per un po’ dei problemi e della fatica della strada, ma, al contrario, persone che tengono al nostro bene e al fatto che continuiamo sempre il nostro cammino, aiutandoci a sostenere il passo quando rallentiamo, a ripartire quando inciampiamo, e a ricordarci perché andiamo avanti quando vorremo invece gettare la spugna e tornare indietro. Un amico è, in fondo, qualcuno che ha a cuore il nostro destino, e che nella figura di Simone di Cirene (che mai aveva conosciuto Gesù) trova paradossalmente un emblema perfetto, in una scena forte in cui questo destino prende la forma tangibile della croce, che in due si sostiene meglio. E dove Simone, in questo rapporto di amicizia imprevisto e quasi “fugace”, ma bello proprio perchè gratuito, trova la salvezza, Gesù, umano in tutto e per tutto, trova il sostegno per giungere al punto di arrivo della sua provante ma gloriosa strada.
SESTA STAZIONE – LA VERONICA ASCIUGA IL VOLTO DI CRISTO
Riflessione di una volontaria
Siamo tra la folla urlante e ingiuriante, sulla via un uomo martoriato, ferito, sfigurato…schiacciato da insulti e deriso, circondato da soldati minacciosi, arroganti nelle loro armature luccicanti, ed ecco una donna impotente, anonima che guarda e osserva da lontano, segue con lo sguardo quell’uomo affranto, è in ansia, non sa cosa fare. Quell’uomo ha bisogno di lei, Veronica lo sa! Sì in cuor suo lo sa, deve fare qualcosa, deve agire, ma come?
Ha paura… esita… e poi un pensiero, sì un pensiero: “devo fare qualcosa!” arriva allora lo slancio, impavido e senza vergogna…Veronica si avvicina, asciuga il volto quasi a voler far sua la sofferenza di quell’uomo con un piccolo e semplice gesto e “lo tocca”…
Quanti nella sofferenza vorrebbero proprio questo: essere “toccati” da una mano amorevole, o ricevere una carezza, o uno sfiorare con dolcezza che restituisce dignità.
E quanti come Veronica oggi hanno il coraggio del gesto che accudisce e rinfranca, ma che è soprattutto presenza e sostegno che dice:“non ti lascio solo!”
Veronica, dunque, diventa esempio di umanità, una umanità che soccorre quella “debolezza” che tutti evitano o vorrebbero evitare e ci invita a non temere le ingiurie della folla ma “a fare qualcosa” per l’altro, per il più piccolo, per “l’invisibile” con spirito libero e sincero.
SETTIMA STAZIONE- GESU’ CADE PER LA SECONDA VOLTA
Riflessione di un dottore
La via Crucis del Signore racchiude in sé le vie crucis di tanti uomini e donne anche del nostro tempo che vivono condizioni di sofferenza; pensiamo in particolare ai tanti che affrontano il percorso di malattie invalidanti, inguaribili e che, prima o poi, conducono al tramonto della vita.
La strada che queste persone devono percorrere è come quella percorsa da Gesù a Gerusalemme, fatta da un lato del peso della Croce, delle cadute inevitabili, nel corpo e nello spirito, dell’indifferenza dei più, ma anche del sollievo e della consolazione offerta dalle Veroniche, dai Cirenei, impersonati dalla famiglia, dai curanti, dalla rete solidale delle persone che non cedono alla tentazione della “cultura dello scarto”, contro la quale ci mette in guardia spesso Papa Francesco.
La cura, nella malattia, soprattutto quando questa conduce verso la fine della vita, deve essere sempre cura della persona, accoglienza ed accompagnamento, sollievo da ogni dolore, del corpo e dello spirito. Così ci si può rialzare da ogni caduta, come ha fatto il Signore, e non rimanere schiacciati sotto il peso della Croce e desiderare, caso mai anticipandola, la morte.
OTTAVA STAZIONE – GESU’ PARLA ALLE DONNE PIANGENTI
Riflessione di una consacrata
Solo Luca ci racconta l’incontro di Gesù con le donne di Gerusalemme. Dopo l’incontro con sua Madre e con la Veronica, Gesù incontra questo gruppo di donne che fanno il lamento su di Lui battendosi il petto. Sono donne prese dalla compassione di chi, al di là di ogni giudizio etico o politico, rimane madre; donne che piangono su questo giovane la cui vita finisce così brutalmente nel pieno del suo vigore.
Altre volte Gesù aveva incontrato le lacrime e le aveva asciugate: quelle della vedova di Nain, ad esempio, ma oggi dice: “Piangete”. Il cuore di Gesù è consolato dal pianto di queste donne e il cuore di queste madri è consolato da Gesù.
Sono come specchi l’uno per le altre. Gli uomini sono rimasti aggrappati alle loro certezze sterili o paralizzati dalla paura degli eventi come gli apostoli. Le donne, invece, hanno il coraggio della compassione e ricevono il dono delle lacrime per le quali anche il cuore è consolato.
NONA STAZIONE – GESU’ CADE PER LA TERZA VOLTA
Riflessione di un insegnante
Se la forza di una persona consiste non tanto nel non cadere ma nella capacità di rialzarsi, l’intelligenza di un educatore sta nella sua predisposizione ad accorgersi della caduta e accompagnarne la risalita.
Quanti nostri studenti cadono sotto il peso delle piccole o grandi croci quotidiane.
Ce li abbiamo ogni giorno davanti, a pochi metri, ma in certi giorni appaiono lontani chilometri da noi. Le loro cadute li portano a non mangiare, a chiudersi nelle loro camerette, a farsi del male fisicamente.
Guardando al Maestro, caduto sotto il peso della croce, come adulti mettiamo da parte i giudizi affrettati e riscopriamo la nostra responsabilità educativa che consiste soprattutto nell’accorgerci, accarezzare, fasciare, curare le ferite date dalle ripetute cadute dei nostri ragazzi, non giudicandoli e non prendendo la croce al posto loro, ma guardando con tenerezza alla loro autentica fatica.
DECIMA STAZIONE – GESU’ VIENE SPOGLIATO DELLE VESTI
Riflessione di una volontaria
L’educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Per avere cura del povero bisogna farsi povero, il povero prima di essere un povero è un uomo! Non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.
La povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l’apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, tappe ben delineate.
La povertà come annuncio A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona; i beni della terra non sono maledetti, tutt’altro, neppure i soldi sono maledetti.
Farsi povero per avere cura di un povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione “ Simbolica” della ricchezza e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della “Ulteriorità”. In questo senso la povertà prima che rinuncia, è un annuncio.
La povertà come rinuncia. Essere a servizio dei poveri impone spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio “Depose le vesti”. Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, deve necessariamente alleggerirsi del “ tir” delle sue stupide suppellettili.
La povertà come denuncia. Di fronte alle ingiustizie del mondo, all’iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere. Come non si può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell’accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.
La cura dei poveri è condivisione della sofferenza altrui. E’ la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto.
Scrive Luigino Bruni che “i grandi sogni degli altri li possiamo capire solo se anche noi proviamo a sognare. Nei tempi di carestia di sogni, troppi misteri restano non svelati per carestia di sognatori”.
UNDICESIMA STAZIONE – GESU’ VIENE CROCIFISSO
Riflessione di un sacerdote
Condotto a morte come un malfattore in mezzo ad altri malfattori. innalzato sul trono della croce o Cristo ti adoriamo e ti benediciamo.
Adoriamo la nostra umanità ferita e la tua divinità che la redime; la nostra condanna e la tua remissione; il nostro orgoglio e la tua mansuetudine; le nostre distanze e il tuo annullarle. O ammirabile potenza della Croce in cui troviamo riuniti insieme il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e il potere del Crocifisso che, attirate a sè tutte le cose, ripete dall’abisso di ogni storia e dal grembo di ogni tempo: Padre, perdona!
DODICESIMA STAZIONE- GESU’ MUORE SULLA CROCE
Riflessione di un seminarista
Dalla croce Gesù diceva e ripeteva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Il perdono non è fare finta di niente. Il perdono è una preghiera al Padre.
Il perdono è scegliere di farmi fare del male piuttosto che perderti.
Il perdono è sapere che ti stai buttando via, e volerti portare in salvo. Il perdono è restare, anche se fa male.
Il perdono è un silenzio opportuno.
Il perdono è ricordarmi continuamente di te, e attenderti. Il perdono è la gioia di riaverti, oggi, con me.
Noi che pensiamo di essere le vittime nella vita ci convertiamo solo davanti a Lui, solo davanti a questo amore crocifisso, che perdona.
TREDICESIMA STAZIONE – GESU’ VIENE DEPOSTO DALLA CROCE
Riflessione dI un presidente di un’associazione laicale
Giuseppe di Arimatea è membro del Sinedrio e si espone pubblicamente e coraggiosamente andando da Pilato a chiedere il corpo di Gesù per prendersene cura e dargli una degna sepoltura.
E’ parte del tribunale che ha condannato Gesù, ma in disaccordo con le sue decisioni; non ha potuto impedire l’esecuzione della sentenza di morte, ma non ha rinunciato a compiere un ultimo gesto di amore.
Compra gli unguenti e il lenzuolo nel quale sarà avvolto Gesù e lo fa seppellire in quella che sarebbe dovuta essere la sua tomba. Si compromette proprio quando non sembra più necessario prendere posizione. Apparentemente non c’è più alcunché da fare.
E invece i suoi gesti diventano il paradigma di tutte le cure, di quelle compiute gratuitamente, senza aspettarsi niente in cambio, di quelle che,mentre leniscono le sofferenze degli altri, guariscono le ferite della propria anima.
Essere chiamati a prendersi cura degli altri, soprattutto di coloro che faticano a vivere, è un dono prezioso che richiede di uscire dall’anonimato delle proprie sicurezze e scegliere l’originalità del coraggio e della verità.
QUATTORDICESIMA STAZIONE – GESU’ VIENE DEPOSTO NEL SEPOLCRO
Riflessione di un insegnante
C’è un tempo per seminare e un altro tempo per aspettare.
È il tempo della cura i cui frutti non sono mai visibili nell’hic et nunc ma hanno bisogno di tempo, di spazi e di storie per essere fruttuosi.
È il tempo di Giuseppe che con quel sepolcro immacolato offre il meglio all’amico di cui prendersi cura.
È dunque il tempo che viviamo, fatto di storie, di amicizie, di amori; è il tempo della cura delle persone vicine alla nostra vita.
È il sepolcro della vita, non già della morte, è il sepolcro della quotidianità, della nostra quotidianità. È il tempo di prendersi cura della storia di chi ci è affianco, dell’anima del nostro prossimo che passa attraverso le semplici domande dell’ ordinario: “come stai? A che punto sei della tua vita? Sei felice?”.
E il tempo della cura quotidiana non passa mai sotto silenzio. È l’unico tempo che fa rumore, che pianta semi di gratitudine e di dolcezza per raccoglierli in un tempo che a noi non è dato sapere.
Il sepolcro racchiude la speranza del piano di Dio sull’uomo. Credere possibile l’impossibile.
Sperare nelle cose oltre ogni speranza. Amare ciò che non sembra amabile.