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AttualitàI cittadini ci scrivono

Accogliere è una missione umanitaira, non bisogna vergognarse

USB - Ufficio Stampa Basilicata 29 Novembre 2018
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Ho conosciuto Teresa pochi giorni fa, per caso. Abbiamo iniziato a parlare di tante cose, ma la sua passione verso il suo lavoro mi ha particolarmente colpito.

Il DL Sicurezza, approvato ieri alla Camera, ridurrà di molto l’impegno degli SPRAR e molti operatori perderanno il loro posto di lavoro.

Teresa, operatrice presso lo SPRAR di Sant’Arcangelo, ci ha tenuto a spiegare tutto quello che c’è dietro il suo lavoro: una profonda umanità che con questo decreto rischia di svanire e di farci vivere in un Paese dove potrebbero regnare odio e diffidenza verso lo straniero.

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“Scrivo questa lettera per far conoscere la mia esperienza di lavoro con gli immigrati e come essa abbia contribuito a modificare alcuni aspetti della mia vita.

Ho iniziato a  lavorare come operatrice SPRAR nel 2012, era febbraio ed in accoglienza arrivò una famiglia nigeriana.

Allora non capivo cosa significasse interagire con etnie diverse, non ne conoscevo le differenze, non sapevo come entrare in contatto, con chi mi trovavo di fronte, ricordo che mi batteva forte il cuore e mi sentivo goffa al minimo movimento.

Ricordo il colloquio di accoglienza per quanto cercavo di sforzarmi non capivo nulla ero completamente nel panico!

Mi misi in un angolo, mi sentivo fuori luogo, la situazione peggiorò quando il ragazzo nigeriano, ricordo ancora il suo nome Favour, si mise ad urlare ed a inveire contro tutto e tutti in una lingua incomprensibile, non vedevo l’ora di uscire da quella stanza: ( Ero delusa, impaurita, sentivo l’odore della sconfitta prima ancora di iniziare pensa: “ Questo progetto non avrà futuro”

Invece da quel giorno sono passati 6 anni; sono cambiate cose, personaggi e storie ma soprattutto sono cambiata  io, quella ragazza spaventata ora è una donna che riesce a cogliere tante sfaccettature, e riesce ad andare oltre tante parole.

Ho conosciuto tante persone, ho incrociato tanti sguardi, ho ricevuto ed offerto tanti sorrisi ma anche molte lacrime, ho conosciuto il bello di questo lavoro ma anche il brutto, ho conosciuto la vita (nel nostro progetto dal 2012 al 2018 sono nati 2 bambini), ma anche la morte (le vite tolte tramite gli aborti ma anche la morte intesa in senso morale), ho conosciuto la delusione, l’abbandono, l’odio, il razzismo, la violenza ma anche tanto amore, coraggio e speranza.

Ho viaggiato attraverso i racconti dei beneficiari, ho conosciuto l’Africa con le sue numerose contraddizioni, con i colori sgargianti degli abiti tradizionali, con l’odore delle spezie e del cibo speziato . Ho conosciuto l’ospitalità delle famiglie siriane ho raccolto e contenuto il loro dolore, ho cercato di proteggerle davanti agli occhi incuriositi e a volte invadenti dei miei paesani quando dicevo loro che arrivavano dalla Siria; mi hanno regalato la gioia di rivedere giocare liberamente i bambini nelle strade e nei vicoli poco assolati del centro storico, ho gioito nel vedere le donne andare di nuovo al mercato. Tutti i beneficiari a modo loro mi hanno lasciato qualcosa su cui riflettere.

Le donne nigeriane mi hanno trasmesso il coraggio di voltare pagina ed andare avanti sperando che “avanti” ci fosse qualcosa di bello; inizialmente pensavo che fossero delle donne superficiali in quanto dopo poco tempo che un evento brutto le colpiva riuscivano ad avere voglia di fare, di ricominciare; invece mi sbagliavo. Una volta una ragazza nigeriana mi rispose, mentre  provavo a farla riflettere su ciò che le era accaduto: “ E’ una cosa brutta, è brutto, è successo, è passato, ora sono qua non ci voglio pensare più. Ti faccio una treccina??”: )

Quella donna semplice attraverso un discorso semplice è riuscita a darmi un imput: non bisogna guardare sempre nella direzione di ciò che ci ha procurato dolore o dispiacere ma di avere il coraggio di andare avanti e prendere il buono, il bello che ci si presenta.

Poi le famiglie siriane. Sapevo della guerra in Siria, la tv ogni giorno ne parlava. Addirittura il Papa durante l’angelus, una domenica Per me era lontana ed invece una mattina di giugno mi sono trovata davanti una famiglia con gli occhi sbarrati e con tanta voglia di essere al sicuro.

Ricordo quello che pensai  quando vidi Wail (il capofamiglia): era un anno più grande di me eppure  sembrava un uomo sulla quarantina, stanco e pensieroso pensai a come la sua terra lo avesse invecchiato lo avesse reso cupo. Loro mi hanno portato a riflettere di nuovo su quello che ho  e che fino ad ora nessuno me lo ha fatto perdere: i miei affetti e la mia terra.

In questo momento storico dove tutti sono contro tutti e dove si è trovato il “capro espiatorio” per giustificare i tanti “mali”, ho quasi iniziato a vergognarmi del lavoro che faccio ma poi mi sono fermata a riflettere: perchè mi devo vergognare di quello che faccio? Lavoro in un progetto di accoglienza e ne sono orgogliosa!

Dietro il mio lavoro c’è tanta pazienza e voglia, il mio lavoro è un viaggio attraverso luoghi da mille ed una notte e riserve incontaminate, è un viaggio dove incontro tanti viandanti che, attraversando la via della seta, portano nel loro bauli la loro preziosa storia e la loro voglia di vivere.”

Teresa Pellegrino

Operatrice Accoglienza SPRAR

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