Parte da Bruxelles un duro attacco all’aglianico e ad altri vini doc italiani. La Commissione Ue sta lavorando, infatti, a una modifica del regolamento 607 del 2009 per rivedere le norme sull’etichettatura delle denominazioni d’origine. L’ipotesi allo studio punta a una profonda liberalizzazione che consenta ai produttori di qualsiasi Paese di utilizzare in etichetta anche i nomi dei vitigni oggi riservati a singoli Stati.
Se dovesse passare l’ipotesi allo studio Ue, in futuro anche i produttori di altri Paesi potrebbero riportare in etichetta il termine Aglianico e quindi ci troveremmo con “aglianico” proveniente dalla Spagna o magari dalla Grecia. L’allarme parte dalla Cia che insieme ad una larga fetta della filiera vitivinicola italiana (dall’Alleanza delle cooperative all’Assoenologi, alla Confagricoltura, dalla Federdoc alla Federvini e all’Unione italiana vini) ha scritto al ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina.
“Se la Commissione Ue – si legge nella lettera – decidesse di procedere alla liberalizzazione qualsiasi produttore europeo potrà utilizzare nomi storici della viticoltura italiana.
“Per questo – si legge nella nota della Cia – le organizzazioni del vino hanno chiesto a Martina di attivarsi perché una tale deregulation «non si trasformi in una proposta di regolamento che rischierebbe di banalizzare Dop e Igp italiane penalizzando gli investimenti sostenuti negli anni dai produttori». «L’operazione va bloccata – continua la Cia – perché anche se fosse ridimensionata si risolverebbe in un sicuro danno per l’aglianico e per il vino italiano in genere.
Dietro le decisioni Ue – aggiunge il responsabile vino della Cia, Domenico Mastrogiovanni – ci sono la difesa dei produttori e la tutela dei consumatori. Una riforma come questa allo studio invece rischia di scontentare tutti penalizzando i produttori senza alcun vantaggio di trasparenza per il mercato. Non possiamo cedere ad altri l’uso di nomi come Aglianico del Vulture che ha fatto da apripista del “made in Basilicata” nel mondo e ancora oggi è tra i prodotti lucani più esportati.