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USB - Ufficio Stampa Basilicata 1 Dicembre 2015
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Che la vanità sia un pregio/difetto dell’essere umano è ormai cosa consacrata. Ma che la vanità diventasse elemento sostanziale del governatore della Banca Centrale Europea è cosa davvero sorprendente. Naturalmente non stiamo parlando della vanità estetica, legata al corpo ed alla bellezza. Ma ci riferiamo, invece, alla vanità generata dal potere, quello vero.
Era il 1 novembre 2011 quando, Mario Draghi, si insediò al comando dell’istituto con sede a Francoforte e da allora è stato tra gli indiscussi protagonisti della vita politica, economica e monetaria dell’intera Europa (e non solo).
Il suo insediamento è solo un ulteriore passo chissà verso quale traguardo, ma i più “vecchi” lo ricorderanno già negli anni ’90 quando svolse il ruolo di vero e proprio deus ex machina delle privatizzazioni delle industrie pubbliche italiane (IRI, IMI, ENI, TELECOM, ecc.). E la cronaca lo racconta anche come grande cerimoniere dell’incontro, avvenuto sul panfilo dei reali d’Inghilterra Britannia, dove quelle privatizzazioni furono concertate, pianificate e temporalizzate. Poi una serie notevole di incarichi direttivi e consulenze prestigiose in ogni parte del mondo e la direzione della Banca d’Italia.
Un curriculum di primo piano, davvero. Eppure non basta a soddisfare la vanità del potere di chi sa di poter osare ancora di più. Di osare al punto tale da decidere ed obbligare l’agenda di governo di una nazione importante come l’Italia. E non stiamo parlando di banali supposizioni delle rete. Stiamo parlando di una lettera. Una lettera di cui si è parlato pochissimo e che ha pesantemente contribuito a generare il disastro dell’ultimo biennio.
Una lettera che un giorno sarà un documento estremamente prezioso per gli storici e che invece tutti, o quasi, hanno già dimenticato e dentro la quale sono già definite le azioni del governo italiano, a prescindere dalla sua composizione partitica.
La lettera è dell’agosto 2011 ed annunciava disastri economici se non si fosse provveduto al più presto a varare una serie di misure in grado di ridare fiato e credibilità alla nazione Italia. Queste misure, che vengono ancora invocate a gran voce in questi giorni, spesso portano un nome privo di senso e contesto: riforme.
Non si capisce bene cosa e come bisogna riformare, eppure un attento sguardo sulla lettera di Draghi, che all’epoca, bisogna ricordarlo, ancora non era Governatore della Banca Centrale Europea (in carica era Jean-Claude Trichet), ci illustra esattamente i contorni e i termini di quest’opera “riformatrice”.
Innanzitutto la lettera fa leva sui dettami liberisti per antonomasia: privatizzare su larga scala i servizi pubblici locali (come la gestione dell’acqua), sostenere la competitività delle imprese attraverso la compressione dei salari e la destrutturazione delle regole vincolanti della contrattazione collettiva, revisione del mercato del lavoro per aumentare la flessibilità e la possibilità di licenziamento con una ragguardevole revisione del sistema del welfare.
Oltre, guardando con favore alle politiche di austerity, invitava ad anticipare le misure di finanza pubblica attraverso il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013, quest’ultimo, poi, doveva diventare norma costituzionale, intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, ridurre i costi del pubblico impiego rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e riducendo gli stipendi.
Infine, la lettera, suggeriva di operare una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese fino ad esigere un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi come le Province.
La mia sintesi non rende onore al documento (che consiglio di leggere integralmente), ma ne esprime chiaramente i tratti.
La lettera si chiude raccomandando ancora due cose, un meccanismo automatico di tagli orizzontali alla spesa pubblica nel momento in cui non vengano rispettati i parametri di deficit e che l’intero pacchetto di leggi  e provvedimenti venga preso per decreto legge, evitando così il lungo, ma democratico, iter parlamentare.
Dopo questa lettera sapete tutti quello che è accaduto, e se leggete bene sapete anche quello che accadrà.
Dopo questa lettera si è certificato come il potere fiscale, economico e monetario di uno stato sovrano come l’Italia non esiste più, poiché esso risiede altrove. Dove la Tecnocrazia, oltre che autoreferenziale, è estremamente vanitosa!

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