“Siamo al ridicolo” sbotta Laura Triassi, pubblico ministero nel processo che vede imputate Margherita Santarsiero e Annalisa Lo Vito, madre e figlia, le due donne delle pulizie che avrebbero reso false dichiarazioni in merito al ritrovamento, nel sottotetto della chiesa della S.Trinità, del cadavere di Elisa Claps, scomparsa il 12 settembre del 1993. Ufficialmente fu trovato il 17 marzo del 2010 da alcuni operai che stavano facendo un sopralluogo nel sottotetto.
L’accusa ritiene invece che ciò avvenne qualche tempo prima, nel mese di febbraio, proprio da parte delle due donne che, addette alle pulizie si recarono nel sottotetto, scoprirono il cadavere ed avvisarono il vice parroco don Wagno.
Margherita Santarsiero e Annalisa Lo Vito in un primo momento lo hanno confermato. Successivamente hanno ritrattato. Di qui l’accusa di falsa testimonianza.
Stamane sono ricomparse in tribunale. A deporre e’ stata chiamata la Santarsiero che alle domande del Presidente, Marina Rizzo, è stata molto reticente. Ha negato quanto dichiarato precedentemente, cadendo in una serie di contraddizioni che hanno alquanto indispettito il pubblico ministero.
Il tribunale ha respinto una richiesta del difensore delle imputate, Maria Bamundo, di acquisire agli atti ulteriore documentazione che il p.m. Triassi e lo stesso avvocato della famiglia Claps, Scarpetta, hanno ritenuto invece irrilevanti ai fini processuali.
Accolta invece la richiesta del p.m. di ascoltare, come testimone, uno degli operai che avrebbe lavorato nel sottotetto della chiesa.
L’udienza e’ stata aggiornata al pomeriggio del 29 giugno prossimo.
Responsabile dell’omicidio di Elisa Claps, come si ricorderà, e’ stato ritenuto dai giudici, Danilo Restivo, condannato a 30 anni dalla Corte d’Assise di Salerno.
Con la sua condanna non si è affatto chiusa la vicenda giudiziaria che rimane aperta sia per accertare, come sta avvenendo, chi ha scoperto per la prima volta il cadavere di Elisa Claps, sia per risalire a chi – e’ la tesi della famiglia Claps – ha protetto per lunghi anni l’esecutore materiale, inquinato le prove e consentito che il cadavere rimanesse per quindici lunghi anni nascosto nel sottotetto della chiesa della Trinità di Potenza senza che nessuno si potesse accorgere della presenza.